lunedì 28 maggio 2012

CROCCHETTE DI PATATE E GAMBERI

Ieri allo scoccare della mezzanotte si è ufficialmente chiuso il nostro contest con 120 ricette arrivate!

Mi ha dato tanta soddisfazione vedervi partecipare in tante, ma devo confessarvi che è stato un lavoro impegnativo visionare tutte le ricette ed inserirle, soprattutto in un periodo in cui il tempo a disposizione era molto poco. Ieri ho passato tutta mattina davanti al pc, ma non facevo in tempo ad aggiungere una ricetta, che già ne arrivava un'altra sulla mail...magari controllate se ci sono tutte, perchè qualche piccola disattenzione ci sta, dovrebbero mancare solo le ultimissime di ieri. Sì perchè oggi voglio assolutamente scrivere una ricetta, che in realtà avevo realizzato qualche mese fa, se non sbaglio proprio per un contest di AboutFood , poi come spesso mi succede, sono arrivata tardi e la ricetta è finita nel dimenticatoio.

Anche questa volta sarei arrivata tardi, se non fosse stato che poco fa guardando gli aggiornamenti di Facebook ho realizzato che il contest su molluschi e crostacei scade arghhhhh! alla mezzanotte di oggi!

E io che avevo in mente di rifare delle meravigliose lasagne estive con i gamberi provate 2 settimane fa per il compleanno di un amico...però di quelle niente foto, non ho fatto in tempo :(  sfornate e andate a ruba.

Mumble mumble...ci sono! le polpettine di patate e gamberi! vado a cercare le foto e quelle più o meno sapevo dove, la ricetta annotata da qualche parte è stata una storia ben più lunga, ma eccomi qua

C'è solo una nota stonata: il frutto del melograno non è proprio di stagione, ma ultimamente il suo succo si trova tutto l'anno sugli scaffali del supermercato, usato come integratore per le sue straordinarie proprietà antiossidanti e dal punto di vista cromatico quel tocco di rosso rende il piatto molto più interessante, non trovate?
mentre dal punto di vista del sapore la nota leggermente acidula bilancia il dolce dei gamberi e delle mandorle

CROCCHETTE DI PATATE E GAMBERI 
CON RIDUZIONE AL MELOGRANO



Ingredienti

per le crocchette:
circa gr 400 di gamberi freschi
gr 300 di patate
1 scalogno
timo
sale e pepe q.b.

per la panatura: 
albume  leggermente sbattuto
1/2 pangrattato
!/2 mandorle tritate un po' finemente un po' grossolanamente (oppure a filetti)
curry a piacimento

olio extravergine di oliva

per la riduzione al melograno:
2 melograni (oppure 2 dl di succo in bottiglia)
1 cucchiaino di zucchero

In realtà è una ricetta davvero semplice: è sufficiente bollire le patate e con lo schiacciapatate ricavarne una purea. Unite poi lo scalogno tritato finemente e appassito in poco olio, i gamberi a crudo puliti e tritati grossolanamente, il timo.

Aggiustate di sale e pepe ed eventualmente se il composto fosse troppo asciutto lo potete amalgamare con qualche cucchiaio di latte.

Io ho voluto dare alle polpette la forma di quenelle, che ho passato prima nel bianco d'uovo e poi nella panatura alle mandorle aromatizzata con 1 cucchiaino raso di curry in polvere.

Le ho disposte sun una teglia coperta da carta da forno, irrorate con olio e messe in forno a 200°C fino a doratura.




Nel frattempo ho preparato la riduzione: ho ricavato il succo dai melograni dividendoli a metà e spremendoli con lo spremiagrumi.

Ho messo il succo in un pentolino con lo zucchero (se vi piace più dolce potete aumentare la quantità) ed ho fatto bollire fino al raggiungimento della consistenza desiderata, tenendo presente che raffreddandosi aumenta ancora un po'.







Le ho servite accompagnate con riso basmati ed un gambero cotto a vapore conditi con un filo d'olio e la riduzione di melograno.








Con questa ricetta partecipo al contest di About Food



venerdì 25 maggio 2012

I PERSONAGGI DEL VINO: CARLO RAVANELLO

Come prima cosa voglio ringraziarvi per tutte le ricette che ci state inviando per il nostro contest, sinceramente non mi aspettavo che fosse accolto con tanto entusiasmo! Ormai mancano pochi giorni ed a breve spetterà a me e Valeria l'arduo compito di scegliere solo quattro delle vostre ricette che si aggiudicheranno i premi in palio, nonchè la vincitrice assoluta...siete tutte bravissime!!!

Non sono nemmeno più riuscita a pubblicare nulla perchè il poco tempo che ultimamente ho a disposizione lo impiego per passare a trovarvi ed aggiornare la lista delle ricette che si sta facendo sempre più lunga.

Oggi però devo assolutamente parlarvi della serata alla quale sono stata invitata ieri, una serata in cui Liguria e Sicilia si sono incontrate a tavola ospiti di  Sergio Circella della trattoria La Brinca


con la straordinaria partecipazione di uno dei personaggi più importanti del mondo enologico di Liguria: Carlo Ravanello, presidente della Commissione Assaggiatori della Camera di Commercio di Genova, responsabile per la Liguria della Guida dei Vini del Gambero Rosso.

Siete pronte ad una carrellata di foto e a qualche assaggio???

Carlo Ravanello

Per prima cosa vi spiego il motivo per cui mi trovavo lì, un motivo di orgoglio per noi di Leivi: il vino che ha accompagnato il dessert, un passito da uve Cimixà, è di produzione di Maria Teresa e Domenico dell'agriturismo U Cantin  che fanno parte della nostra associazione  Leivinvita.

Ed eccoli al momento della presentazione, emozionatissimi ma al contempo orgogliosi del loro lavoro.

























 Adesso non posso non parlarvi di ciò che ci ha deliziato, cibo e vino in felice connubio.


Per incominciare, 

Bianchetta Genovese 
Golfo del Tigullio - Portofino d.o.c.
Autoctona 2011
La Ricolla di Daniele Parma, Ne

perfetta con piccoli assaggi nell'attesa.

di produzione di un vecchio vigneto  situato in 
Val Graveglia preso in gestione da qualche anno, è una bianchetta molto interessante, ancora molto chiusa, con poco tempo di bottiglia che deve quindi ancora affinarsi.

La Bianchetta, pur con le sue differenze territoriali, è un vitigno tipico che si articola sulle colline dai  terreni poveri che, se trattato adeguatamente, può dare origine ad un vino con presa di palato immediata, caratteristiche singolari e grandi profumi, . L'inconveniente di questo vino è che difficilmente dura più di 2 o3 anni perchè con il tempo il profumo svanisce.


A seguire, antipasti della nostra campagna, tra cui  il raviolo fritto, la farinata, il prebugiun di Ne, il castagnaccio, le fave con il salame e la baciocca di patate.



Per introdurre il prossimo vino, Sergio ci ha raccontato un aneddoto legato ai primi tempi immediatamente successivi all'apertura.

- Era la primavera dell'88 e mi viene richiesta una cena alla quale i clienti chiedono di portare personalmente il vino. Il signore in questione, presente tra l'altro questa sera in sala insieme a tanti altri produttori, presentò una bottiglia anonima ma con colori molto particolari, quello che ancora non sapevo sarebbe stato il Ciliegiolo di Bisson , un vino semplice come un nettare ma di grande impatto.

Il Ciliegiolo è un vitigno particolarmente bello, con bei grappoli violacei, che regalano la caratteristica colorazione porpora brillante al vino, particolare visivo da non trascurare, non meno importante del aspetto olfattivo e gustativo.

La storia del vitigno nasce da due persone preoccupate della salute del papà che vogliono alleggerirlo dell'impegno della cura il vigneto e pensano di darlo in gestione.

Piero Lugano, titolare dell'azienda Bisson   rimane colpito da quel vino, pur ritenendolo al momento sgraziato e ruspante, con una punta di aceto e dei tannini aggressivi e capisce immediatamente che con una vinificazione attenta e con molta cura nella pressatura e nelle tempistiche avrebbe dato grandi sorprese.

E' un vino fatto in piccole quantità che da 10 anni viene esportato negli Stati Uniti, un vino dalle incredibili sfaccettature, che bene si abbina con molti piatti della cucina ligure, dalle verdure, alla carne, al pesce.


Noi l'abbiamo degustato così




Ciliegiolo Portofino d.o.c. 2011
Bisson di Piero Lugano
Chiavari


con

Gnocchetti di patate locali 
al pesto, pomodoro e mandorle.










Dal primo passiamo ai secondi e dalla Liguria alla Sicilia: Carlo Ravanello è anche viticoltore nella lontana Sicilia alle pendici dell’Etna, dove in contrada Linguaglossa a 650 m. s.l.m.,  produce pochissime bottiglie di Etna Rosso che ci ha portato da assaggiare.

La coltivazione della vite in Sicilia ha una storia millenaria che si perde nella notte dei tempi, soprattutto sulle pendici dell'Etna dove se ne parlava già nell'Odissea a proposito di Polifemo: i veri vini siciliani nascono proprio lì.


Questo vino è il risultato di condizioni pedoclimatiche particolari in cui crescono i vigneti, con escursioni circadiane di temperatura che arrivano fino a 40°C e presenza di terreno acido molto ricco in sali minerali che trasmette acidità al vino. Le uve sono caratterizzate da carenza cromatica dovuta alla colorazione degli antociani, per cui viene aggiunto del Nerello Cappuccio al Nerello Mascalese per accentuarne la sfumatura.


Etna Rosso
d.o.c. 2010
La casa di Filippo

con
Noce di vitellone con olio extravergine da cultivar Nocellara dell'Etna e Randazzese


Un vino brillante con profumi di spezie nostrane e tannini ben polimerizzati che, dopo poche settimane in legno dove si è svolta la fermentazione malolattica, è stato trasferito in tonneau da 500 litri dove ha continuato il processo evolutivo acquisendo leggera presenza di legno.

Un vino con una gradazione alcolica, sebbene non dichiarata, che arriva vicino a 15 % , motivo per cui io mi sono fermata qui! niente cinghiale, niente annata 2009 per lasciare un po' di spazio per il dolce ed il passito.

La serata era stata già sufficientemente ad elevato tasso alcolico...non si può di certo dire che il vino ci sia stato misurato, i camerieri efficientissimi non ci permettevano di restare a lungo con il bicchiere vuoto ;)

























Ed eccoci finalmente al dolce ed al passito 





Maccaia
U Cantin 
di Penco 
Maria Teresa
San Colombano Certenoli


servito con 

torta dura di nocciole locali
e torta soffice di castagne con il suo gelato












Vino passito da uve Cimixa (Scimiscià), uno dei  vitigni autoctoni più pregiati e con caratteristiche peculiarità, molto noto nei tempi remoti ma purtroppo poco valorizzato in quelli più recenti, con il rischio di essere dimenticato definitivamente, recuperato grazie ad un progetto della Comunità Montana della Valfontanabuona con la collaborazione della Provincia di Genova.

La Cimixa è un'uva che produce poco, rende poco, è molto delicata con un acino dalla buccia sottilissima, ma è buona perchè molto zuccherina e veniva usata in passato come "migliorativo" nella Bianchetta e nel Vermentino per aumentarne il tasso alcolico.

In purezza viene usata per farne un buon passito con caratteristico aroma di miele di castagno.

Spero di essere stata precisa nel riportare quanto ci è stato detto durante la piacevole ed interessante serata...se per caso ho sbagliato qualcosa non me ne vogliate, non posso dire di essere stata completamente lucida e vigile dall'inizio alla fine!



Un grazie di cuore a tutto lo staff della Brinca e a Carlo Ravanello 
e congratulazioni ai nostri amici Domenico e Maria Teresa!

martedì 1 maggio 2012

LA CIMA LIGURE ovvero dell'arte di arrangiarsi

Tutto incomincia qualche giorno fa, quando nel banco frigo del reparto macelleria del supermercato vedo un particolare taglio di carne, la cosiddetta "tasca", che altro non è che una parte dello scalfo della pancia del vitello.

Resto come folgorata da una serie di immagini che partono improvvisamente ed involontariamente nella mia mente, una miriade di ricordi di infanzia legati ad un piatto che nella nostra famiglia ha accompagnato ogni festa, la cima ripiena - quelle fette saporite e variopinte di cui noi bambini mangiavamo solo il centro, scartando la carne intorno. E, sì, ce lo potevamo permettere, perchè intanto noi la carne ce l'avevamo tutti i giorni nel piatto!

La cima è il simbolo dell'abbondanza pur nella povertà: la Liguria è sempre stata una terra arida e avara per i suoi figli, che a fatica hanno dovuto strappare dalla terra e dal mare qualcosa da mettere sotto i denti per sè e per tutta la famiglia, per cui i nostri piatti portano la testimonianza di questa durezza.

Io credo che sia più una questione di necessità piuttosto che di spilorceria che le malelingue attribuiscono ai genovesi, necessità da cui scaturisce la fantasia.

I sapori sono netti, franchi, diretti, gli ingredienti povere cose...ed ecco apparire la genialità dettata dal bisogno: manca il grande taglio di carne, ma il piatto di carne c'è.

La si ritrova nei tritati, sminuzzata fino a diventare irriconoscibile, perchè in parte recuperata per non buttare niente da quelle parti dell'animale meno pregiate, le frattaglie: poppa, testicoli, animelle, schienali e cervella.

Allora non posso non pensare a mia nonna, che per fare le scarpe per i suoi quattro figli intrecciava le foglie secche del granturco e le usava come tomaia e che quando i soldi mancavano e la dispensa era vuota si serviva della sua ricchezza più grande, la fantasia, usando quel che c'era e variando la ricetta a seconda del bisogno.

Per questo motivo le varianti si sprecano, non so dirvi quante ne ho trovate sui miei libri e dopo una serie di telefonate a mia zia, la mia ex-suocera, la mia attuale suocera...ognuno ha la sua variante: chi mette i carciofi, chi la lattuga, chi gli zucchini, chi le frattaglie come la ricetta vuole, chi la mortadella, chi il prosciutto, chi trita tutto, chi lascia vedere i pezzi, chi mette l'uovo intero...insomma, da impazzire!

Adesso vi faccio vedere come l'ho fatta e dall'aspetto e dal sapore direi che è proprio quella dei miei ricordi :)



e sì perchè dovete sapere che c'è un buco di quasi 20 anni nei quali non sono riuscita a mangiare la carne e soprattutto che per me, ligure purosangue, è stata la prima volta! 


Già...mai fatta la cima, perchè?

perchè avevo paura di non esserne capace, perchè sono quelle ricette che ti devono insegnare, che vanno tramandate di madre in figlia (ma mia madre - per dirla con un eufemismo - non ha la passione per la cucina), per cui non esiste una ricetta, ma La Ricetta, che è quella di famiglia, perchè l'esperienza ti insegna a capire ad occhio dalle dimensioni della tasca quante uova metterci, altrimenti scoppia...ed infatti, vi devo confessare così è stato :(  ma non ho esagerato di tanto, così ho rimediato e quasi non si vede, vero?

Adesso vi spiego come l'ho fatta, giusto per avere una linea guida, ma lascio spazio alla vostra creatività

LA CIMA RIPIENA ALLA LIGURE


Ingredienti 

una tasca di carne da 1 kg circa
1 lattuga
la ricetta dice 100 gr di cervella, 100 gr di animelle, 100 gr di schienali
ma se non vi aggradano potete sostituirli sia con la mortadella che con il prosciutto cotto
carne magra di vitello tagliata a pezzi molto piccoli 200 gr
parmigiano grattugiato gr 100
piselli freschi gr 100
uova 4
pinoli 2 cucchiai
1 spicchio d'aglio
maggiorana
noce moscata
carota, sedano, cipolla, 1 foglia d'alloro per il brodo

Per cominciare dovete cucire la tasca con dello spago da cucina, lasciando una piccola apertura su un lato.


Pulite e sbollentate la lattuga (che potete sostituire totalmente o in parte con zucchini o carciofi) scolatela, strizzatela e tritatela finemente.

In una padella scaldate il burro con lo spicchio d'aglio e scottatevi per pochi minuti prima la carne e poi la cervella, le animelle e gli schienali. Eliminate l'aglio.

In una ciotola riunite le carni scottate, il parmigiano, la maggiorana, la noce moscata, le uova leggermente sbattute, i piselli e qualche dadino di carota per il colore e amalgamate fino ad avere un impasto omogeneo. Aggiustate di sale e pepe.

Farcite la cima con il ripieno per 2/3 della sacca e non di più perchè il ripieno si gonfia molto in cottura e finite di cucire l'apertura.
Controllate attentamente la tenuta delle cuciture, non ci devono essere fuoriuscite di liquido! dopodichè bucate la cima con uno spillone per evitare che scoppi.


In una pentola capace portate ad ebollizione abbondante acqua salata con i sapori, mettetevi la cima (in questo modo ci sarà un'immediata coagulazione dei sapori) attendete la ripresa dell'ebollizione ed abbassate la fiamma al minimo. Punzecchiate ancora un po' per sicurezza.

Proseguire la cottura a fuoco lento per circa 2 ore - 2ore 1/2.

Togliete la cima dalla pentola e fatela raffreddare sotto un peso (si usava il mortaio o il ferro da stiro) per farle eliminare i liquidi e renderla bella compatta.


Ora potete tagliarla a fette e servirla appena tiepida o a temperatura ambiente.

In più: 
- La cima regala pure un gustoso brodo che potete riutilizzare a piacere
- C'è anche chi per cuocerla la avvolge in un telo 
- La cima dura alcuni giorni, ma se volete reinterpretarla, si possono pure impanare e friggere le fette.

Ed ora vi lascio con alcuni versi della canzone che Fabrizio De Andrè ha dedicato in genovese a questo piatto

‘A ÇIMMA


Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin                    Ti sveglierai sull’indaco del mattino
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà               quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare  

ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà                              ti guarderai allo specchio di un tegamino 
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn               metterai la scopa dritta in un angolo  

Cè serèn tèra scùa                                                 Cielo sereno terra scura 
carne tènia nu fàte nèigra                                        carne tenera non diventare nera 
nu turnà dùa                                                           non ritornare dura  
                                             
Bell’oueggè strapunta de tùttu bun              Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun                        prima di battezzarla nelle erbe aromatiche   


cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè                     con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè                             da sopra a sotto svelto la pungerai
                                                                         
e ‘nt’ou nùme de Maria                                         e nel nome di Maria
tùtti diài da sta pùgnatta                                         tutti i diavoli da questa pentola  andate via
anène via

tucca a ou fantin à prima coutelà                            tocca allo scapolo la prima coltellata 
mangè mangè nu sèi chi ve mangià                         mangiate, mangiate 
                                                                            non sapete chi vi mangerà

Valentina




Questa ricetta partecipa al contest di Ti cucino così








ed alla raccolta di Laura in cucina