Resto come folgorata da una serie di immagini che partono improvvisamente ed involontariamente nella mia mente, una miriade di ricordi di infanzia legati ad un piatto che nella nostra famiglia ha accompagnato ogni festa, la cima ripiena - quelle fette saporite e variopinte di cui noi bambini mangiavamo solo il centro, scartando la carne intorno. E, sì, ce lo potevamo permettere, perchè intanto noi la carne ce l'avevamo tutti i giorni nel piatto!
La cima è il simbolo dell'abbondanza pur nella povertà: la Liguria è sempre stata una terra arida e avara per i suoi figli, che a fatica hanno dovuto strappare dalla terra e dal mare qualcosa da mettere sotto i denti per sè e per tutta la famiglia, per cui i nostri piatti portano la testimonianza di questa durezza.
Io credo che sia più una questione di necessità piuttosto che di spilorceria che le malelingue attribuiscono ai genovesi, necessità da cui scaturisce la fantasia.
I sapori sono netti, franchi, diretti, gli ingredienti povere cose...ed ecco apparire la genialità dettata dal bisogno: manca il grande taglio di carne, ma il piatto di carne c'è.
Io credo che sia più una questione di necessità piuttosto che di spilorceria che le malelingue attribuiscono ai genovesi, necessità da cui scaturisce la fantasia.
I sapori sono netti, franchi, diretti, gli ingredienti povere cose...ed ecco apparire la genialità dettata dal bisogno: manca il grande taglio di carne, ma il piatto di carne c'è.
La si ritrova nei tritati, sminuzzata fino a diventare irriconoscibile, perchè in parte recuperata per non buttare niente da quelle parti dell'animale meno pregiate, le frattaglie: poppa, testicoli, animelle, schienali e cervella.
Allora non posso non pensare a mia nonna, che per fare le scarpe per i suoi quattro figli intrecciava le foglie secche del granturco e le usava come tomaia e che quando i soldi mancavano e la dispensa era vuota si serviva della sua ricchezza più grande, la fantasia, usando quel che c'era e variando la ricetta a seconda del bisogno.
Allora non posso non pensare a mia nonna, che per fare le scarpe per i suoi quattro figli intrecciava le foglie secche del granturco e le usava come tomaia e che quando i soldi mancavano e la dispensa era vuota si serviva della sua ricchezza più grande, la fantasia, usando quel che c'era e variando la ricetta a seconda del bisogno.
Per questo motivo le varianti si sprecano, non so dirvi quante ne ho trovate sui miei libri e dopo una serie di telefonate a mia zia, la mia ex-suocera, la mia attuale suocera...ognuno ha la sua variante: chi mette i carciofi, chi la lattuga, chi gli zucchini, chi le frattaglie come la ricetta vuole, chi la mortadella, chi il prosciutto, chi trita tutto, chi lascia vedere i pezzi, chi mette l'uovo intero...insomma, da impazzire!
Adesso vi faccio vedere come l'ho fatta e dall'aspetto e dal sapore direi che è proprio quella dei miei ricordi :)
e sì perchè dovete sapere che c'è un buco di quasi 20 anni nei quali non sono riuscita a mangiare la carne e soprattutto che per me, ligure purosangue, è stata la prima volta!
Già...mai fatta la cima, perchè?
perchè avevo paura di non esserne capace, perchè sono quelle ricette che ti devono insegnare, che vanno tramandate di madre in figlia (ma mia madre - per dirla con un eufemismo - non ha la passione per la cucina), per cui non esiste una ricetta, ma La Ricetta, che è quella di famiglia, perchè l'esperienza ti insegna a capire ad occhio dalle dimensioni della tasca quante uova metterci, altrimenti scoppia...ed infatti, vi devo confessare così è stato :( ma non ho esagerato di tanto, così ho rimediato e quasi non si vede, vero?
Adesso vi spiego come l'ho fatta, giusto per avere una linea guida, ma lascio spazio alla vostra creatività
‘A ÇIMMA
ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà ti guarderai allo specchio di un tegamino
Cè serèn tèra scùa Cielo sereno terra scura
Già...mai fatta la cima, perchè?
perchè avevo paura di non esserne capace, perchè sono quelle ricette che ti devono insegnare, che vanno tramandate di madre in figlia (ma mia madre - per dirla con un eufemismo - non ha la passione per la cucina), per cui non esiste una ricetta, ma La Ricetta, che è quella di famiglia, perchè l'esperienza ti insegna a capire ad occhio dalle dimensioni della tasca quante uova metterci, altrimenti scoppia...ed infatti, vi devo confessare così è stato :( ma non ho esagerato di tanto, così ho rimediato e quasi non si vede, vero?
Adesso vi spiego come l'ho fatta, giusto per avere una linea guida, ma lascio spazio alla vostra creatività
LA CIMA RIPIENA ALLA LIGURE
Ingredienti
una tasca di carne da 1 kg circa
1 lattuga
la ricetta dice 100 gr di cervella, 100 gr di animelle, 100 gr di schienali
ma se non vi aggradano potete sostituirli sia con la mortadella che con il prosciutto cotto
carne magra di vitello tagliata a pezzi molto piccoli 200 gr
parmigiano grattugiato gr 100
piselli freschi gr 100
uova 4
pinoli 2 cucchiai
1 spicchio d'aglio
maggiorana
noce moscata
carota, sedano, cipolla, 1 foglia d'alloro per il brodo
Per cominciare dovete cucire la tasca con dello spago da cucina, lasciando una piccola apertura su un lato.
Pulite e sbollentate la lattuga (che potete sostituire totalmente o in parte con zucchini o carciofi) scolatela, strizzatela e tritatela finemente.
In una padella scaldate il burro con lo spicchio d'aglio e scottatevi per pochi minuti prima la carne e poi la cervella, le animelle e gli schienali. Eliminate l'aglio.
In una ciotola riunite le carni scottate, il parmigiano, la maggiorana, la noce moscata, le uova leggermente sbattute, i piselli e qualche dadino di carota per il colore e amalgamate fino ad avere un impasto omogeneo. Aggiustate di sale e pepe.
Farcite la cima con il ripieno per 2/3 della sacca e non di più perchè il ripieno si gonfia molto in cottura e finite di cucire l'apertura.
Controllate attentamente la tenuta delle cuciture, non ci devono essere fuoriuscite di liquido! dopodichè bucate la cima con uno spillone per evitare che scoppi.
In una pentola capace portate ad ebollizione abbondante acqua salata con i sapori, mettetevi la cima (in questo modo ci sarà un'immediata coagulazione dei sapori) attendete la ripresa dell'ebollizione ed abbassate la fiamma al minimo. Punzecchiate ancora un po' per sicurezza.
Proseguire la cottura a fuoco lento per circa 2 ore - 2ore 1/2.
Togliete la cima dalla pentola e fatela raffreddare sotto un peso (si usava il mortaio o il ferro da stiro) per farle eliminare i liquidi e renderla bella compatta.
Ora potete tagliarla a fette e servirla appena tiepida o a temperatura ambiente.
In più:
- La cima regala pure un gustoso brodo che potete riutilizzare a piacere
- C'è anche chi per cuocerla la avvolge in un telo
- La cima dura alcuni giorni, ma se volete reinterpretarla, si possono pure impanare e friggere le fette.
Ed ora vi lascio con alcuni versi della canzone che Fabrizio De Andrè ha dedicato in genovese a questo piatto
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin Ti sveglierai sull’indaco del mattino
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà ti guarderai allo specchio di un tegamino
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn metterai la scopa dritta in un angolo
Cè serèn tèra scùa Cielo sereno terra scura
carne tènia nu fàte nèigra carne tenera non diventare nera
nu turnà dùa non ritornare dura Bell’oueggè strapunta de tùttu bun Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè da sopra a sotto svelto la pungerai
e ‘nt’ou nùme de Maria e nel nome di Maria
tùtti diài da sta pùgnatta tutti i diavoli da questa pentola andate via
anène via
tucca a ou fantin à prima coutelà tocca allo scapolo la prima coltellata
mangè mangè nu sèi chi ve mangià mangiate, mangiate
non sapete chi vi mangerà